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Grotta Rumice: Herundine, Romola, Redenta e… ?

Il toponimo “rumice” richiama il termine romitorio. La grotta naturale si trova nell’area soprastante il quartiere degli Scacciati a Palestrina, sulla via di costa che anticamente saliva sino a Castel San Pietro (noto set del film “Pane Amore e Fantasia”) e permetteva il collegamento fra la città di Praeneste e la sua acropoli. L’ampia visuale sul paesaggio sottostante e l’evocazione propria della “salita al monte” suggerisce la frequentazione devozionale del luogo. La grotta si apre a circa metà dell’antico sentiero. Qui la tradizione, tramandata sino ai nostri giorni, vuole che nel VI secolo d.C. tre eremite (Herundine, Romola e Redenta) si rifugiassero per astrarsi dal mondo civile raccogliendosi in preghiera.

Da le “Memorie Prenestine” (Petrini P.): “Menava in quei tempi vita eremitica sul monte Prenestino una divota donna per nome Herundine con una sua discepola chiamata Redenta. Dissi in quei tempi, perché San Gregorio narra che quando egli si fe’ Monaco, cioè nell’anno 575, l’una era morta, l’altra era vecchia. Se poi sia vero che la speleonca da loro scelta per abitazione sia quella grotta, che vedesi sulla falda orientale della nostra Montagna alquanto sopra la Chiesa di Cesareo, ed è volgarmente chiamata Grotta Rumice, io non ardisco asserirlo: come altresì non ardisco asserire ch’elle vivessero sotto la direzione de’ Monaci dimoranti sul nostro monte, benché cose tali siano assai verisimili. Ciò che però asserisco è che Herundine fu dotata di gran virtù, e Redenta ammaestrò nella pietà due fanciulle, una delle quali chiamata Romola fu in morte contraddistinta da Dio con celesti apparizioni; di modo che sono tutte venerate dalla Chiesa come Sante, e nella nostra Diocesi se ne celebra l’Offizio”.

Da una ricerca sul web abbiamo individuato la corrispondenza di tutti e tre i nomi nella sola lista civile femminile di Buenos Aires ed ipotizzato che le tre eremite potessero essere di origine spagnola o portoghese. Abbiamo quindi proseguito le ricerche sul motore di ricerca dei due paesi abbandonando le pagine italiane che non davano alcun risultato.

Così facendo abbiamo ottenuto risultati più che soddisfacenti, ritrovando notizie delle Sante eremite nella Historia delle Sante Vergini Romane (Gallonio A.).

“…Fiorirono quelle Sante ne i tempi di San Gregorio Papa, celebra la Chiesa la solennità loro a’ 23 di Luglio come appare per l’autorità del Martirologio Romano (che ) nel giorno suddetto ne scrive con queste parole. A Roma, le Sante Vergini Romola, Redenta & Herundine, delle quali scrive San Gregorio Papa; i cui corpi furono portati a Tivoli, dove hoggi si celebra solennemente la lor memoria. AVVERTIMENTO AL LETTORE intorno alla reliquie di quelle Sante Vergini. Una gran parte de i corpi di queste Sante nella Chiesa di Santa Maria Maggiore si riposa, il che dimostrano l’infrascritte parole, che in essa si leggono: In quella sacra Basilica, sono riposti i corpi de i Santi Matteo Apostolo, Girolamo Dottore, Romola, e Redenta Vergini co tutto ciò bisogna dire, che alcune ossa loro, e non i corpi intieri nella città di Tivoli si conservino, e questo perche si trova scritto e si tiene da molti che in essa i corpi loro sono stati trasferiti; il che può esser vero, pigliandosi il tutto per una parte, e non in rigore per quello che sona quella parola”.

Abbiamo anche ritrovato traccia delle tre eremite anche negli Annali Ecclesiastici tratti da quelli del Cardinal Baronio (Rinaldi O. pag. 123, paragrafo 24).

“Né lasceremo di por qui un’altra bella storia , che quest’anno medesimo il Santo Pontefice narrò nell’homelia quarantesima di ciò ch’avvenne quando egli si rendé monaco: stava, dice, allato alla chiesa della B. Vergine una monaca, per nome appellata Redenta, discepola già d’Herundina, donna d’halte virtù, c’havea fatta vita solitaria sopra i monti di Palestrina e con Redenta habitavano due sue discepole nell’histesso habito monacale, una chiamata Romola e l’altra la quale ancora vive, e nota mi è di veduta ma non di nome. Romola passava assai ne’ meriti la compagna, si come colei ch’era di meravigliosa patientia e di somma ubbidienza, osservante molto nel silentio, e del continuo all’oratione vocata.

Ma imperoche quegli, che dagli huomini stimati sono perfetti, hanno tal’hora alcuna imperfettione negli occhi di colui, che tutto vede, ella fu a maggior suo profitto percossa di paralisi e costretta a giacer piu anni in letto priva dell’uso di quasi tutti i membri. Non però di meno questi flagelli non perdussero la sua mente a impatientia; ma accrebbero le sue virtù splendie e singolari. Avvenne poi una notte ch’ella chiamo Redenta, che nudriva ambedue le discepole in luogo di figliole e le disse: Vieni, madre, vieni. La qual tosto rizzatasi con l’altra fu ad essa. E stando ambedue in su la mezza notte al letto della della paralitica, venne subitamente una celeste luce di tanta chiarezza, che strinse con inestimabile sbigottimento il cuore delle assistenti, le quali si gelarono e stupite rimasero. E sì come elle poi dissero, cominciarono a sentire certo strepito, come se una caterva grande di gente entrasse, e scotesse l’uscio della cella. Ma tutto elle sentissero la moltitudine, nientemeno tra per l’immensità del timore e della luce non vedevano nulla. Appresso alla luce venne una fragranza di maraviglioso odore, si che riconfortava il loro turbato e smarrito animo per la grandezza dell’apparito splendore.

Né potendo elle sostenerlo, Romola cominciò a confortare Redenta con piacevol voce, dicendole: Non haver paura, madre, che io hora non morrò; e ciò sovente essa replicando, la luce a poco a poco sparve, ma l’odore rimase: e così passò il secondo e terzo di, pur durando la fragranza. La quarta notte Romola chiamò di nuovo la sua maestra e chiese e ricevette il viatico. Ne essendo ancora Redenta e l’altra discepola partite dal letto dell’inferma, udirono, che nella piazza avanti la porta della cellas tavano due cori, uno d’huomini e l’altro di donne, alternamente salmeggiando e mentre che si celebravano in tal guisa le celestiali esequie, quella santa anima fu condotta in paradiso. Nel qual mezzo quanto piu gli angelici cori salivano in alto, tanto piu leggiermente si sentivano i canti, finche il sacro concerto e la soavità dell’odore mancò”. Celebrasi ogni anno dalla chiesa la gloriosa memoria di Romola e di Redenta vergini, e di Herundina i cui corpi sacri si conservano e veneransi nella confessione della medesima basilica di S. Maria Maggiore. 

Ne i Secoli Agostiniani, agli anni di Christo 592, si trova una lunga descrizione della santità delle tre eremite, che in parte riprende la morte di Redenta in modo sostanzialmente analogo a quanto già descritto parlando degli Annali Ecclesiastici, ma dando più spazio ad Herundine ed utilizzando ovviamente parole e suggestioni diverse.

“Vicino alla Chiesa della B. Vergine una Monaca, che Redenta chiamavasi, la quale era già stata discepola d’un’altra Monaca, per nome Herundine, Donna di sublime virtù la quale havea menata vita eremitica sù le Montagne di Pellestrina; e con Redenta habituario due altre Monache sue discepole, una chiamata Romola e l’altra d’incerto nome.”

Abbiamo anche qui conferma del fatto che le eremite sarebbero state quattro, non tre, mentre emerge una discrepanza sulla data del Martirologio Romano che viene indicata al 23 Aprile, anziché al 23 Luglio come riportato dal Card. Baronio. Infatti alla nota relativa alla sepoltura in Santa Maria Maggiore qui si legge: “Li loro Sacri Corpi si conservano in S. Maria Maggiore, come dice il Card. Baronio nell’Annotatione, che fa al suddetto giorno 23 d’Aprile, e ciò dice costare nell’iscrittione antica, che in mosaico si legge nell’abside di S. Maria Maggiore con queste parole… e se bene gli Tiburtini si vantano d’haver essi i Copri di queste Sante Religiose, delle quali anche nell’accennato giorno solennizano la Festa, tuttavolta si dee dire, soggiunge nella medesima Annotatione il Baronio, che non habbino fuori che alcune poche Reliquie, aggiungo io, che forse hauranno il corpo di Santa Herundine, quale non viene mentovata nel’iscrittione suddetta di S. Maria Maggiore”.

Ma la nota più interessante è però relativa alla condizione delle tre eremite, emergendo un evidente conflitto di attribuzione a diversi ordini monastici.

“Ma per concludere al nostro proposito, a me pare, che non si possa dubitare che queste tre (la quarta? ndr) Sante Vergini, essendo state Monache ed Eremitane, non siano anche state di nostra Religione, massime in quei tempi, ne quali niuna religione v’era che Eremitana s’appellasse. Benche vi fosse quella di S. Benedetto non chiamavasi però, come né meno mai si è chiamata, Eremitana, havendoli ciò prohibito S. Benedetto nella sua Regola medesima.

Resta dunque di dire che fossero dell’Ordine nostro Eremitano di S. Agostino, il quale notabilmente fioriva in quei tempi. Ben’è vero, che quelle Sante non furono Monache di Monasterio, ma di Casa e per conseguenza Tertiarie; e ciò basti haver detto di queste Sante Gloriose, le quali per la prima volta entrano ad honorare gli nostri Agostiniani Secoli & Annali.”   

La nostra conclusione è più amara. Delle tre, forse quattro, donne che cercarono rifugio nella Grotta Rumice vivendo in isolamento, per motivi religiosi o per assistere Romola nel momento finale della malattia, rimane il racconto di ecclesiastici (riportato più volte fino a stravolgerne parzialmente il senso), la ragionevole certezza che i corpi siano stati suddivisi fra più sepolture, come spesso accadeva ai santi trasformati in reliquie ed infine la forzosa aggiudicazione ad un ordine monastico piuttosto che ad altro giocando sui termini. Avendo visto la grotta, e dando per rato che quella sia stata realmente per lungo tempo la loro Casa, il loro eremo, tendiamo a ritenere che si trattò di eremite piuttosto che di Eremitane. Il fatto che la regola monastica del tempo non le prevedesse è del tutto marginale ed ininfluente: fu scelta comune a molti religiosi anche nei secoli a venire, spesso pagata con la morte.

Dalle ultime indagini compiute sull’origine dei nomi quello di Romola sembra derivare da Romilia, appellativo di una gens romana che si era stabilita sulla sponda etrusca del Tevere. Romola festeggia effettivamente l’onomastico il 23 luglio, come indicato dal Card. Baronio, e non al 23 Aprile come invece asserito dagli Agostiniani ed è ricordata sul Martirologio sempre in comunione con le altre due consorelle, essendo probabilmente andata per sempre perduta la possibilità di conoscere il nome della quarta eremita.

Nel maggio 2003, su sollecitazione di Luigi Casciotti che conosceva da tempo la grotta e ne aveva eseguito il rilievo topografico, siamo tornati ad esplorarla insieme e documentarla. Si tratta di una grotta naturale di modeste dimensioni e sviluppo, censita nel Catasto della Cavità Naturali del Lazio. A seguito dell’indagine speleologica l’ipogeo fu segnalato – nello stesso anno – al Prof. Rolfo (Università di Tor Vergata, Roma) quale sito di probabile frequentazione preistorica.

Nel rilievo è evidenziata l’area presa in esame per valutare eventuali attestazioni preistoriche.

Bibliografia di riferimento

AMORE A., Romola, Redenta ed Erundine in BS, t. 11, col. 540-542.

GALLONIO A., Historia delle Sante Vergini Romane (Torelli?)

NIBBY A., 1819, Viaggio antiquario ne’ contorni di Roma, Vol. I, pag. 102

PETRINI P., Memorie Prenestine disposte in forma di annali (pagg. 96-97)

RINALDI O., Annali Ecclesiastici tratti da quelli del Cardinal Baronio (pag. 123)

Web http://www.castelsanpietroromano.net/home_file/sentiero_1.html

Carla Galeazzi ©Centro Ricerche Sotterranee Egeria

 

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Il “Viaggio in Italia” di J.W. Goethe e il paesaggio della geologia: i luoghi ipogei

Il viaggio di Goethe in Italia dura quasi due anni, dal 3 settembre 1786 al 18 giugno 1788, gran parte dei quali li trascorre a Roma, nella dimora di Via del Corso oggi Museo. E’ un visitatore attento e curioso che riflette sul paesaggio e sull’origine dei territori che attraversa, fornendo descrizioni dettagliate che ci aiutano a comprendere, ad oltre due secoli di distanza, le trasformazioni subite dal nostro Paese.

Copertina del volume

Il volume, fresco di stampa (settembre 2012), è frutto del progetto scientifico coordinato da Mario Panizza e Paola Coratza, Nato dalla sinergia fra G&T Geologia e Turismo, IYPE Commissione Italiana coordinamento Anno Internazionale Pianeta Terra (Settore divulgazione scientifica Outrach),  ISPRA Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale e il Museo Casa di Goethe di Roma, unico museo tedesco all’estero. Il volume rappresenta un’opera importante per la conoscenza del nostro Paese e a tale scopo il Servizio Geologico Nazionale Dipartimento Difesa Suolo dell’ISPRA si è impegnato per far si che l’opera venisse stampata.

Un progetto originale e di grande interesse voluto da G&T e realizzato grazie alla capillarità dei suoi associati ed estimatori su tutto il territorio nazionale nonché di geologi facenti capo ad Istituti Universitari, Enti di Ricerca, Pubbliche Amministrazioni, Musei Naturali ed altre Associazioni, fra le quali la Società Speleologica Italiana che ha curato, grazie a Carlo Germani e Vittoria Caloi (Egeria CRS) le quattro schede a tema speleologico – archeologico relative agli ipogei visitati dal celebre scrittore.

Pochi i luoghi sotterranei visitati da Goethe, con racconti che manifestano il disagio di trovarsi al buio, come nelle catacombe dalle quali esce immediatamente: “Fin dai primi passi in quei tristi sotterranei, mi si ridestò un tale insofferenza, che risalii immediatamente a rivedere il sole, e ad aspettare, in quel rione del resto ignorato e appartato, i miei compagni d’escursione che, meno impressionabili di me, avevano potuto visitare tranquillamente anche quei luoghi”. Forse anche per questa ragione apprezza tanto la pietra fosforica di Bologna: “… che, si racconta, se la si lascia al sole, ne assorbe i raggi e per un certo tempo splende nell’oscurità”.

 Scheda Ninfeo di Egeria

L’11 Novembre 1786 fa visita al Ninfeo di Egeria, (o Ninfeo di Erode Attico) nella Valle Caffarella, zona rimasta pressoché intatta fino a qualche anno fa. Nel suo ritorno a Roma dopo il viaggio che lo porta a percorrere l’Italia, ovvero nell’Aprile 1788, visita sia la Cloaca Massima trovandola addirittura più imponente rispetto a quanto raffigurata dal Piranesi. Le catacombe di San Sebastiano invece, come già detto, lo deludono profondamente pur trattandosi di un complesso cimiteriale di grandissimo interesse.

Scheda Ninfeo di Egeria

Durante le tappe non romane scende a Napoli e approfitta per visitare la Crypta Neapolitana (o Grotta di Posillipo, vedi anche il contributo di Pio Bersani https://speleology.wordpress.com/2012/11/27/la-crypta-neapolitana/) e resta talmente affascinato dai raggi del sole che attraversano la galleria, al tramonto, da ben comprendere chi si innamora della città di Napoli.  

La scheda sulla Grotta di Santa Rosalia a Palermo è stata curata da Dario Nicchitta e Antonia Messina (Università degli Studi di Messina). Anche in questo caso Goethe non descrive in modo suggestivo l’ambiente ipogeo ma ha tuttavia difficoltà ad allontanarsene perché  rimane molto colpito dalla devozione dei fedeli che attingono l’acqua nella speranza di ottenere la guarigione.

Fra gli scenari più amati dal Viaggiatore, incline ai luoghi caldi ed assolati, i vigneti: l’analisi geologica si è estesa quindi anche ai “paesaggi enologici”  e ai vini che maggiormente apprezzò, ponendo in risalto il rapporto fra prodotto e caratteristiche del terreno, in un bellissimo contributo di Francesco Torre e della compianta Lucilla Gregori.

 

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Le gallerie filtranti del Lago di Nemi. Scarica i pdf dello studio.

Le captazioni Copyright EGERIA CRS

Due conferenze di questa settimana, una al Palazzo Chigi di Ariccia, relatori Franco Medici e Carlo Testana, l’altra a Genzano con la partecipazione della Dottoressa Giuseppina Ghini e Nicoletta Giannini, tornano a porre l’accento sullo stretto legame esistente fra i laghi Albani e la storia del territorio circostante, ma soprattutto sull’importanza di conoscere le emergenze ipogee  di origine antropica ed interesse storico: le cavità artificiali.

Franco Medici e Carlo Testana, in particolare, hanno fatto riferimento agli innumerevoli studi da noi condotti nei Colli Albani. In effetti potremmo affermare di aver percorso tutto il Lazio, in particolare i Castelli Romani, camminando sempre sotto terra.

Le captazioni Copyright EGERIA CRS

Dal 1999 al 2003 nel territorio compreso fra Ariccia, Genzano, Nemi e Albano, nel 2004 nei sotterranei dell’Abbazia di San Nilo e nelle strutture della Valle Marciana a Grottaferrata. Negli anni successivi a Palestrina, Castel San Pietro Romano, San Vittorino (Cunicoli di Ponte Terra), San Gregorio da Sassola e Colle San Pietro, Pavona, Corcolle, Lanuvio, Cisterna di Latina e di nuovo al Tuscolo, con la recente riscoperta di due acquedotti: quello ottocentesco di  Monteporzio e quello arcaico ristrutturato alla metà del 1600 dell’Eremo di Camaldoli.

I risultati dei nostri studi sono noti, essendo stati presentati a convegni e congressi con relativa pubblicazione in atti e su riviste specializzate. Trovate una sintesi degli ultimi sei anni nella pagina “convegni”.

Per rimanere sul tema “clou” della settimana abbiamo pensato di fare cosa gradita a chi desidera approfondire l’argomento, inserendo i link per scaricare due nostri contributi sulle antiche opere idrauliche dei Colli Albani.

Buona lettura.

Opere Idrauliche Nemi_CRS Egeria

Opere idrauliche Ariccia Albano_CRS Egeria

Le Captazioni Copyright EGERIA CRS

 

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Le Grotte di Gino

Capita, a volte, che alcune strutture sotterranee ci incuriosiscano più di altre. Le ragioni non sono sempre le stesse. Può trattarsi di un ipogeo del quale non si capisce immediatamente la funzione, oppure cavità che consentono di riscoprire una storia ormai dimenticata, o strutture realizzate nell’antichità per rispondere a particolari esigenze insediative (ricerca di acqua, drenaggio di terreni paludosi ecc.) che ancora oggi suscitano stupore per le tecniche ingegneristiche utilizzate.

La Grotta di Gino a Moncalieri, ad esempio, è una di queste. Si tratta di una grotta artificiale, scavata da una sola persona con un lavoro di trenta anni per puro divertissement, senza nessuna apparente finalità utilitaristica.

L’abbiamo visitata qualche anno fa, insieme al proprietario e a Fabrizio Milla dell’associazione Mus Muris, a margine di un incontro speleologico che avevamo organizzato a Torino. Da allora ho costantemente sollecitato Fabrizio a scriverne, senza riuscire – fino ad oggi – a convincerlo. Io ho invece continuato, di tanto in tanto, a cercare notizie fino a che, qualche settimana fa, su un noto sito di compravendite fra privati sono riuscita ad acquistare un libercolo intitolato “Lorenzo Gino e la sua grotta” che contiene molte notizie sulla realizzazione dell’opera.

Ho quindi deciso di anticipare qui alcuni stralci del contributo a doppia firma che, con Fabrizio, ci siamo stavolta seriamente ripromessi di pubblicare.

Lorenzo Gino nacque nel 1830 e realizzò la sua grotta fra il 1855 ed il 1885. La difficoltà di esecuzione fu abbastanza elevata: spesso la punta dello scalpello si rompeva, talvolta nel corso dello scavo venivano intercettate sorgenti che riversavano acqua nelle gallerie e che il Gino opportunamente incanalava. Alcune fonti dicono che lo scavo fu intrapreso proprio come opera di risanamento e bonifica della sua bottega di falegname, spesso oggetto di infiltrazioni di acqua, ma a me risulta poco credibile.

In ogni caso il Gino non si risparmiò, tanto che la conclusione dell’opera corrispose anche alla fine dell’uomo che la realizzò. Dopo la sua morte il figlio Giovanni volle dedicargli, in memoria, un busto che lo raffigurasse. Il 22 novembre 1902, in occasione dell’inaugurazione della statua, molti giornali locali ripresero la notizia ed il libricino che ho ritrovato è una sorta di raccolta dei lanci di agenzia dell’epoca. Ne fu pubblicato in realtà anche un altro, dal titolo “Cenni descrittivi della grotta fantastica – misteriosa di Lorenzo Gino” del quale però, sono purtroppo riuscita a rintracciare la sola copertina.

Dal testo del discorso tenuto per la circostanza dal Notaio Commendatore Pier Francesco Tabasso, si apprende che Lorenzo Gino creò questo incredibile ipogeo scavando la grotta senza disegni preventivi, senza calcoli e senza progetti, arricchendolo poi con statue che rappresentano episodi realmente accaduti.

La Gazzetta del Popolo cita l’epigrafe che il Conte Tancredi De Abate volle aggiungere alla scultura: “Lorenzo Gino – con subalpina tenacia – traforava questo colle” e da nota del fatto che alla solenne festa parteciparono sia personaggi illustri e politici, venuti a rendere il tributo di giusto affetto al lavoratore indefesso, sia gli abitanti di Moncalieri rappresentati dai consociati alle varie società operaie.

La Gazzetta di Torino racconta che la giornata inaugurale fu inclemente dal punto di vista meteorologico, tanto che la commemorazione si tenne nel teatro della grotta (un grandioso salone – teatro adibito a balli e concerti).

Pasquino, il settimanale umoristico, non mancò di riprendere a sua volta l’evento, in tono però scherzoso, se non irrisorio: “A Lorenzo Gino, il… precursore del Fréjus e del Sempione…”.

 

La grotta è privata. Dall’ingresso ci si inoltra per circa 50 metri su una barca che percorre un piccolo rivolo d’acqua sorgiva, fra pareti nelle quali molte nicchie ospitavano 15.000 bottiglie di vino (delle quali oggi restano pochi esemplari vuoti). Un primo gruppo di statue raffigura l’autore dell’opera, il Re Galantuomo in abito da caccia e un putto che sorregge una dedica a Vittorio Emanuele.

Al termine del ruscello si scende dalla barca proseguendo a piedi nella grotta vera e propria, dove si trova un secondo gruppo di statue. Più avanti un piccolo slargo con al centro altre sculture e giochi d’acqua. Un foro circolare nella volta prendeva luce dal piano di calpestio del giardino sovrastante. Un altro canale, fiancheggiato da sculture, immette in una rotonda con al centro la statua del Duca Amedeo Ferdinando che pesca alla fiocina in compagnia dei suoi barcaioli. Qui, a sorpresa, si scatenavano getti d’acqua (oggi non più funzionanti) in ricordo della pioggia che sorprese il Duca di notte sul Po causandone la prematura scomparsa. Nelle acque del piccolo canale guizzavano anguille e pesci.

Un ulteriore slargo caratterizzato da numerose nicchie alle pareti, che alloggiavano busti di poeti fra bottiglie di vino, immette nella terza rotonda dove si trovavano le statue raffiguranti maschere italiane che brindano alla unificazione d’Italia. Il dubbio che la Grotta di Gino possa aver avuto un significato diverso dal semplice puro divertimento sembra qui trovare una prima fessura per insinuarsi. In qualche modo supportata anche da un passaggio del già citato discorso inaugurale del Notaio Tabasso che, parlando del Gino, disse: “…nella mente e nell’animo del Gino si trovavano idee, pensieri, convincimenti profondi, morali, patriottici”.

Salendo una scala fiancheggiata da busti di illustri personaggi italiani si incontrava una sorgente di acqua ferruginosa e dall’ultima rotonda una scala a chiocciola consente di risalire al giardino sovrastante dove i visitatori venivano accolti nel ristorante. Notevole la carta dei vini e le ormai dimenticate le pietanze (tutto puntualmente riportato nel libercolo) fra le quali figuravano la lingua in salsa piccante, le scaloppine alla finanziera, e la frittura di pesci pescati nella grotta a piacimento degli avventori.

La grotta si sviluppa praticamente sotto al Real Castello di Casa Savoia. Come è possibile che uno scavo durato trenta anni possa essere stato compiuto senza almeno il benestare dei regnanti? La Grotta di Gino fu solo l’opera originale di un uomo semplice o una struttura sotterranea (cantina o altro?) voluta dai Savoia? Certo i continui richiami alle vicende della casa reale ci indurrebbero ad ipotizzarlo. Ma in tal caso perché commissionarla al Gino e non ad un mastro esperto che avrebbe impiegato molto meno tempo per realizzarla? Si pensi ad esempio che nello stesso Piemonte il minatore Colombano Romean realizzò tre secoli prima del Gino, in soli sette anni di lavoro solitario, un acquedotto sotterraneo di ben 500m a 2000 metri di quota. Fu per caso l’aura di leggenda acquisita dal Romean a spingere il Gino nell’impresa solitaria?

Una cosa è certa: la Grotta di Gino a Moncalieri divenne famosissima, come testimoniano le tante persone che parteciparono alla commemorazione del suo artefice e le innumerevoli cartoline d’epoca ancora in circolazione. Ne scrissero persino Giovanni Saragat e Guido Rey in “Famiglia alpinistica“, dove, nel paragrafo “I festaioli“, pubblicano un divertente racconto della festa di San Bernardo a Moncalieri, con “albero della cuccagna, balli pubblici e visita alla Grotta di Gino”. Il percorso di visita alla grotta è anche qui puntualmente descritto.

E Quintino Sella? Davvero anche lui vi si recò in visita?

Una grotta speciale ed unica, verrebbe da dire… Se non che, mentre stavo sfogliando il libricino appena acquistato, lo sguardo mi è caduto sulla terza di copertina, dove un’inserzione pubblicitaria diceva: “La più interessante attrattiva e meraviglia della Lombardia è la Grotta di Gino. A Sesto San Giovanni sul viale Milano – Monza. Annesso alla Grotta scelto servizio di ristorante”.

Un’altra Grotta di Gino in Lombardia? Si, e dalle immagini riprodotte su cartoline d’epoca che ho poi ritrovato, non doveva essere troppo dissimile da quella di Moncalieri, se non per la presenza di un laghetto e l’imponente corredo concrezionale. Che farebbero pensare piuttosto ad una piccola grotta naturale adattata alla visita in barca, con realizzazione di approdi esterni, statue ecc.

Chi ha realizzato la grotta di Gino in Lombardia? Era a conoscenza di quella di Moncalieri? Le due strutture hanno lo stesso nome per coincidenza?

Nel contributo che pubblicheremo a breve proveremo a dare risposta a tutte le domande che ho qui avanzato. Nel frattempo, se qualcuno con informazioni più complete sulla Grotta di Gino lombarda avesse voglia di contattarci ed unirsi alla nostra ricerca, ci farebbe molto piacere.

Carla Galeazzi ©EGERIA Centro Ricerche Sotterranee

 

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Cascate, antiche cartiere e cave di ocra rossa nella Valle Marciana

Il fosso dell’Acqua Marciana è forse uno dei più interessanti  dei Colli Albani  (Roma, Lazio). Inizia nella Valle Latina, tra il Colle del Tuscolo e il Colle Molara, dove coerentemente ai toponimi “mola, molara, molare” sono ancora visibili le antiche cave per la realizzazione delle macine di pietra lavica. Attraversa poi l’abitato di Grottaferrata dove riceveva le sorgenti dell’acqua Julia (in loc. Squarciarelli) e percorre la vallata sotto l’abbazia di San Nilo. Dopo aver attraversato l’antico cratere della Valle Marciana si dirige verso NNO per confluire nell’Aniene con il nome di Fosso di Tor Sapienza.

È ipotizzabile che l’attraversamento dei bordi craterici della Valle Marciana sia artificiale, realizzato in epoca romana allo scopo di bonificare l’area, come avvenuto nei vicini crateri di Prata Porci, Pavona e Gabii. Nei secoli si è però obliterata ogni eventuale traccia dello scavo.

Una deviazione realizzata nel Medioevo, sfruttando un cunicolo dell’acquedotto Claudio ormai abbandonato, a metà strada tra la Valle Marciana e l’Aniene (all’altezza della Via Anagnina in corrispondenza dell’antica Villa dei Centroni) incanalava una parte delle acque verso il Fosso dell’Acqua Mariana, o Marana nel gergo romanesco. Un corso d’acqua realizzato nel XII secolo canalizzando parzialmente l’acqua in un condotto artificiale oggi scomparso, e adibito a portare un cospicuo rivo verso Roma, attraversando le attuali località di Morena, Ciampino Aeroporto ed entrando a Roma: Porta Furba, Porta San Giovanni, Porta Metronia, Circo Massimo e, infine, il Tevere.

Il tratto compreso tra Squarciarelli e la Valle Marciana è noto anche come “vallone”. Oltre ad attraversare un’area ricca di storia, sembra essere miracolosamente scampato all’intensissima urbanizzazione delle aree più a valle, che impedisce di raggiungere altre opere antiche e lo stesso corso d’acqua. Partendo da una cascata sotto Squarciarelli, detta di San Bartolomeo, un sentiero corre parallelo al fosso fino ad affacciarsi sulla Valle Marciana. Sono ancora visibili i resti di una antica mola. In corrispondenza dell’attraversamento della strada tra Grottaferrata e Marino si conservano i resti di un edificio del 1600 certamente una cartiera legata alla vicina Abbazia di San Nilo.

A margine dello studio speleologico condotto nell’Abbazia (vedi anche Nell’Abbazia di San Nilo (Grottaferrata, Roma) gli speleologi scompigliano l’ascesi monastica.) abbiamo effettuato indagini nel territorio circostante alla ricerca di eventuali pertinenze. Lungo questo percorso, in effetti, abbiamo riscoperto e documentato alcuni ipogei legati alla fabbrica dell’Abbazia e alla sua cartiera ed altre evidenze di interesse.

Ipogeo 1. Semplice cava di pozzolana, presumibilmente nel seguito vocata ad uso cultuale. Il tempo ha reso l’ambiente gradevole e ricco di vegetazione.

Ipogeo 2. Il più interessante. La posizione piuttosto disagevole e l’ingresso angusto ci hanno fatto subito dubitare della apparente natura di cava, come la precedente. Infatti, una volta esplorata e rilevata, tornati alla luce del sole, il dubbio si è chiarito osservando tutta l’attrezzatura e gli abiti divenuti di un bel colore rosso acceso: la grotticella era senza dubbio una cava di ocra rossa. Pur in assenza di mirate analisi mineralogiche si tratta certamente di una piccola “miniera” di colorante, probabilmente utilizzata fino in tempi recenti. Alcuni frammenti raccolti al centro del primo ambiente sono stati macinati e utilizzati come colorante naturale da uno dei nostri soci, ottenendo un risultato davvero interessante.

Ipogeo 3. Situato a fianco della cartiera, era probabilmente un magazzino ad essa collegato anche se la parte terminale, franata, lascerebbe spazio ad ipotesi meno banali…

 

Oltre ai tre ipogei descritti, lungo il sentiero sono stati individuati un acquedotto in disuso probabilmente a servizio di una seconda cartiera (la “cartiera bassa”) ormai del tutto obliterata e un ponticello in muratura che consente ad una strada basolata di oltrepassare un fossato.

Naturalmente non è tutto qui. Percorrendo la Valle Marciana è sufficiente allargare l’orizzonte di poche decine di metri per imbattersi in antiche abbazie, monasteri, ville romane… ma naturalmente sarebbe complesso e inadeguato riassumere tutto in una nota breve destinata al web.

Carlo Germani e Carla Galeazzi ©Egeria Centro Ricerche Sotterranee

 

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