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Archivi categoria: Opere idrauliche

Antico sbarramento sul Rio della Tenuta vicino Ponte di Ponte (Corchiano, Viterbo)

Dopo l’imponente sbarramento sul Fosso delle Pastine, simile ad una diga ad arco che manteneva stabili i terreni agricoli a monte, (vedi https://speleology.wordpress.com/2015/10/01/antico-sbarramento-corchiano-gallese/), abbiamo rintracciato una struttura analoga, già nota in letteratura e situata circa 800 metri a NNO, su un fosso diverso e parallelo: il Rio della Tenuta. Anche in questo caso siamo di fronte ad uno sbarramento alto circa 9 metri destinato al contenimento dei terreni soprastanti e formato da blocchi tufacei di circa 1,5×0,5×0,5 metri posti sia di fianco che di testa.

A differenza del primo sbarramento non vi è traccia di cunicoli di alleggerimento e il muro si presenta angolato di alcuni gradi verso monte. L’inclinazione è ottenuta con un leggero sfalsamento dei grandi blocchi, che non si sovrappongono perfettamente ma risultano disassati di una decina di centimetri a partire dalla base. Lo sfalsamento si riduce progressivamente in altezza, fino a raggiungere la perfetta sovrapposizione nelle ultime file al coronamento. Il grande muro interrompe e si sovrappone ad una precedente via a gradini che dal fosso saliva al pianoro soprastante.

A differenza dello sbarramento di Fosso Pastine, nelle cui immediate vicinanze non sono note altre strutture complesse, in questo caso ci troviamo a breve distanza da un grande insediamento rupestre, da alcune tombe e dalla struttura nota come Ponte di Ponte, dove un ponte-acquedotto protetto da un imponente cunicolo portava l’acqua da un lato all’altro della stessa profonda forra.

L’insediamento si trova esattamente a margine del terreno agricolo controllato dallo sbarramento prima descritto, su un crinale che presenta ipogei sia sul lato verso il pianoro che sul lato a strapiombo sul Rio della Tenuta. Dall’estremità dell’insediamento si può scendere nella forra attraverso un’ampia strada tagliata nella roccia e ancora praticabile, pur se interessata da alcuni crolli. La struttura dell’acquedotto di Ponte di Ponte è del tutto compatibile con lo sbarramento sul Rio tenuta ed è molto probabile che galleria, muraglione, tombe ed insediamento fossero fra loro correlati.

Poco più a valle abbiamo scoperto un’ampia cavità di origine naturale (prodotta probabilmente dalle anse del torrente) che reca molteplici ed evidenti tracce di scavi e riadattamenti antropici.

Testo e immagini  ©Carlo Germani – Archivio Egeria Centro Ricerche Sotterranee

 

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Cunicoli a servizio di un antico sbarramento nei pressi del Fosso delle Pastine (Viterbo)

Nel territorio compreso fra le cittadine di Gallese e Corchiano, in provincia di Viterbo, sono note numerose opere idrauliche di epoca falisca e romana realizzate per il controllo dei fossi che tracciano profondi solchi nei pianori di origine vulcanica che digradano verso il Tevere. Si tratta di sbarramenti destinati alla protezione di ponti, alla raccolta di acque destinate all’irrigazione, al funzionamento di opifici, al contenimento dei terreni a monte. Uno di questi, particolarmente imponente e ben conservato, è stato rintracciato da Tullio Dobosz. E’ visibile in una vallecola sulla sinistra del Fosso delle Pastine, che si raggiunge attraverso un sentiero a gradini profondamente intagliato nella roccia e in gran parte approfondito e deformato dallo scorrimento delle acque piovane che vi si incanalano.

Si tratta di un’opera di sbarramento ad arco, costituita da blocchi di tufo 50 x 50 cm x 1 metro circa posti di testa. Sono ancora in situ 15 file integre, mentre le file al coronamento (almeno tre) si presentano danneggiate, con i blocchi in parte crollati e visibili alla base della diga. In origine l’altezza complessiva dell’opera superava dunque i 9 metri.

L'imponente opera di sbarramento ad arco. Foto Carlo Germani archivio Egeria Centro Ricerche Sotterranee

La struttura, fortemente arcuata, scarica la pressione dell’acqua e della massa terrosa retrostante su uno scalino realizzato nel banco roccioso. Un cunicolo alla base dello sbarramento, qualche metro sulla sinistra idrografica, si spinge con due diramazioni nella roccia retrostante. Una prima diramazione (vedi rilievo) è chiusa da grossi blocchi apparentemente dello stesso tipo di quelli utilizzati nella costruzione dello sbarramento.

Copyright Egeria CRS

Date le dimensioni, i blocchi non sono stati apposti facendoli passare attraverso lo stretto cunicolo sotterraneo ma devono essere stati posti in opera dall’esterno, prima che la parte retrostante lo sbarramento si riempisse di terra. Probabilmente questa diramazione fu realizzata per deviare il fosso preesistente e consentire la costruzione dello sbarramento. Una volta esaurita la sua funzione fu chiuso ed abbandonato. è interessante notare, però, che ancora oggi il condotto contribuisce ad alleggerire la pressione della massa terrosa retrostante lo sbarramento lasciando filtrare una certa quantità d’acqua.

Il secondo ramo del cunicolo termina invece alla base in un pozzo che risulta ostruito da massi e quindi di altezza non determinabile. Possiamo ipotizzare che fosse destinato ad incanalare in qualche modo le acque superficiali, per evitare che queste erodessero la parte superiore dello sbarramento.

In letteratura l’opera è datata alla prima occupazione romana del territorio falisco, nel III secolo a.C., ed è indicata come “serra” destinata al solo contenimento dei terreni retrostanti – funzione ancora oggi svolta – ma non si può escludere che in origine potesse essere funzionale anche alla formazione di un piccolo bacino idrico del quale i due rami del cunicolo rappresentavano lo scarico di fondo e il “troppo pieno”.

Nella zona (in località Colli di Musate) abbiamo notato e documentato anche un interessante ipogeo di probabile epoca etrusca oggi destinato a rimessa per attrezzi agricoli.

di Carlo Germani ©Archivio Egeria Centro Ricerche Sotterranee

Bibliografia – Quilici Gigli S., 1993, Segni e testimonianze dell’antico paesaggio agrario nel territorio falisco. In Studies in the History of Art, vol. 43, Symposium Papers XXII: Eius Virtutis Studiosi: Classical and Postclassical Studies in Memory of Frank Edward Brown, National Gallery of Art, 1993, pp. 51-61.

 

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Su Opera Ipogea 1/2015 Acquedotto Traiano: la scoperta del dimenticato ramo di Santa Fiora

Copertina della rivista Opera Ipogea 1/2015. Un particolare dell’acquedotto Traiano, ramo di Santa Fiora, foto Carlo Germani archivio EGERIA CRS

Abstract dell’articolo

L’acquedotto Traiano, realizzato per volere dell’imperatore Traiano nel 109 d.C., è il decimo degli undici ac­quedotti di Roma antica. Raccoglieva le acque di molte sorgenti attorno al lago di Bracciano, sui monti Sa­batini, e raggiungeva Roma con un percorso in gran parte sotterraneo. Uno dei caput aquae dell’acquedotto era situato a SE di Oriolo Romano, in una zona nota oggi come Santa Fiora. Da qui un condotto scendeva verso il lago per ricongiungersi con il collettore circumlacuale. Il ramo proveniente da Santa Fiora fu taglia­to in un’epoca imprecisata tra il VI e il IX secolo e mai più ripristinato, tanto da essere del tutto dimenticato. Gli speleologi del CRS Egeria e di Roma Sotterranea, effettuando una accurata indagine sul territorio, lo hanno riscoperto ed esplorato e ne hanno ricostruito dettagliatamente il percorso. Vengono illustrate le ca­ratteristiche costruttive del condotto e dei pozzi. Viene infine discusso il modo con cui le acque superavano il notevole dislivello esistente tra le sorgenti e il lago.

Parole chiave: Cavità artificiali, antichi acquedotti sotterranei, acquedotti romani, Roma, Traiano, Aqua Traiana.

 

 

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Fontanelle di Roma. Un volume fotografico da non perdere.

copertina

L’acqua ha da sempre avuto un ruolo particolare nella vita della città di Roma. I resti delle sue terme, gli acquedotti antichi, le sue fontane sono fra le caratteristiche più importanti e più attraenti della città, al pari con i suoi monumenti più belli. Da quando vivo a Roma anche io, come tanti, non resisto al loro fascino. Soprattutto il mio interesse è suscitato dalle piccole fontanelle, spesso nascoste non solo agli occhi dei turisti, ma anche a molti romani. Ed è un peccato perché in molti casi si tratta di veri capolavori. Così è nata l’idea di questo volume fotografico. L’idea è stata da subito condivisa dal fotografo Antonio De Paolis. La quantità di fontanelle a Roma è grande e imprecisa. Perciò non ci siamo posti l’obiettivo di documentale e catalogarle tutte. Il volume vuole essere un modo per raccontare la città di Roma e la sua bellezza in modo artistico, presentando  quelle che a nostro parere sono le fontanelle più belle, più particolari, spesso puntando su qualche insolito dettaglio. Senza trascurare la vita e i segni intorno alla fontanella che lasciano il tempo, l’acqua, l’umidità diventando così tutto un insieme con essa. Infine abbiamo aggiunto in questo album alcune fontane, per completare il nostro racconto. Il lavoro su questo volume è stato per noi un viaggio, per scoprire Roma nascosta e sconosciuta. Ci auguriamo che sia così anche per voi. Iana Nekrassova

Fin dall’inizio sapevo di non voler scattare semplici immagini come fossero foto per un catalogo. Volevo che le mie immagini trasmettessero qualcosa in più, qualcosa che raccontasse la città di Roma attraverso le fontanelle, lasciando intuire la “vita” della fontanella stessa, specialmente per quelle più antiche. Per questo è stata naturale la scelta di catturarne talvolta un solo particolare, altre volte il contesto urbano circostante. Come ad esempio per la targa che ricorda dove era collocata la vecchia fontanella, più caratteristica della fontanella stessa. O nel caso della fontanella non più funzionante, rimasta in strada come ornamento architettonico, purtroppo sommerso da macchine parcheggiate che la rendono invisibile. Foto per lo più senza persone, tranne in qualche caso dove l’elemento umano, o anche animale, ha contribuito secondo me a rendere meglio l’idea di quanto ancora oggi il binomio acqua-fontana sia caratteristico di Roma: basta vedere l’uso che ne fanno i turisti. Un viaggio divertente e molto interessante, che mi ha spinto a conoscere le storie legate alle nostre fontane, a girare per strade e vicoli del centro dove non ero mai passato nella speranza di vederne apparire per caso, piuttosto che seguendo indicazioni già esistenti. Antonio De Paolis

Potrebbe sembrare insolito che un blog di speleologia segnali un volume fotografico sulle antiche fontanelle di Roma. In realtà, il legame fra Roma e le antiche vie dell’acqua è sempre stato fondamentale nelle ricerche speleologiche condotte della nostra associazione. Le acque che alimentavano le fontanelle romane, come anche le mostre d’acqua più importanti di Roma (La Fontana di Trevi, il Fontanone del Gianicolo, ecc.) arrivavano da  lontano, attraverso condotti sotterranei talvolta lunghi decine di chilometri che spesso sono stati oggetto dei nostri studi e delle nostre ricerche. Quando Antonio ci ha comunicato di volersi dedicare a questo progetto abbiamo capito che lo avremmo “perso” per un po’ come speleologo, ma eravamo certi che ne sarebbe uscito un lavoro di grande interesse. Non sta a noi recensire l’opera. Possiamo però dire, avendo avuto il privilegio di sfogliare il volume in anteprima, che gli scatti di Antonio sono molto particolari e riescono a raccontare anche la “bellezza delle opere minori” nella città fagocitata dalla “grande-sfacciata-bellezza”. Fondamentale è stata la collaborazione con Iana Nekrassova, blogger, legata da molti anni alla città di Roma, in costante ricerca di spunti inediti che racconta sulle pagine di Rome Insider. Carla Galeazzi

Il volume è acquistabile sul sito di BLURB http://it.blurb.com/b/5709805-fontanelle-di-roma?ce=blurb_ew&utm_source=widget (disponibile con copertina morbida, rigida e rigida con sovra copertina, ovviamente a prezzi diversi).

 

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Un acquedotto lungo… trent’anni: il Fontana

Acquedotto Fontana le esplorazioni del 2014. Foto Carlo Germani Archivio Egeria CRS.

L’Acquedotto Fontana, realizzato nel 1612 dall’architetto Giovanni  Fontana (Lugano, 1540 – Roma, 1614) per alimentare la città di Velletri, è ben riportato sulle tavolette IGM (150 II SO), rilevate nel 1873. Opera imponente, censita nel Catasto delle cavità artificiali del Lazio al numero CA29LaRM, ha una lunghezza complessiva che si aggira intorno ai 14 chilometri, interessando i Comuni di Velletri e Nemi. Oggi non più in uso, presenta ancora tratti in perfetto stato di conservazione che potrebbero essere destinati in futuro, analogamente a quanto avviene in altre città italiane, ad una valorizzazione di tipo turistico-culturale.

Nel 1983 la Cooperativa La Montagna (Roma) effettuò vari sopralluoghi allo scopo di accertare lo stato generale della struttura (Coop La Montagna, 1983) e grazie alle indagini dell’epoca furono individuati i lunghi tratti sotterranei nella zona compresa fra i Pratoni del Vivaro e Velletri.

Circa venti anni dopo, nel 2002, il Centro Ricerche Sotterranee Egeria intraprese un censimento delle antiche opere idrauliche dei Colli Albani (Dobosz T., Filippi G., Galeazzi C., Galeazzi S., Germani C., 2003). Nell’ambito dello studio emerse l’ipotesi che alcuni tratti dell’acquedotto di Fontana Tempesta, considerati a sé stanti, fossero in realtà correlati all’Acquedotto Fontana.

Si riporta uno stralcio della relazione del Gruppo Egeria pubblicata su Opera Ipogea 2/3-2003.

“Accanto al cunicolo alto di Vitellio, sul lato opposto del sentiero Fontana Tempesta – SS 217, un tombino in cemento celato nel bosco da accesso ad una vasta struttura ipogea percorsa da un discreto flusso idrico che porta, a monte, ad una rete di captazioni che si spinge fin sotto la SS 217.  Alcuni tratti rivestiti in muratura, di fattura simile a quelli riscontrati nel cunicolo di Fontana Tempesta, fanno ritenere che questi condotti siano stati oggetto di regolare manutenzione fino a tempi recenti. Verso valle si incontra un primo breve tratto in forte pendenza che, dopo alcune diramazioni cieche poste a varie altezze, termina in un condotto di dimensioni ridotte, anch’esso in forte pendenza (anche se con gradiente inferiore al precedente) diretto verso SW.  L’acqua scompare dopo alcune decine di metri in un sifone impercorribile, disperdendosi e riemergendo in parte lungo il sentiero (che in estate risulta inspiegabilmente umido) e in parte filtrando verso il cunicolo di Fontana Tempesta.

Poco prima del sifone una risalita permette di accedere ad un cunicolo soprastante con volta a cappuccina. Questo, molto diverso dai precedenti ed evidentemente più antico, risulta grossolanamente parallelo al cunicolo sottostante e termina, a monte, su una chiusura in muratura.  Verso valle, al contrario, la galleria curva a sinistra dopo poche decine di metri dall’ingresso e si snoda parallela alla SS 217 per molte centinaia di metri, intercettando vari pozzi e cunicoli laterali posti a livello leggermente più alto.La percorrenza di queste gallerie è sufficientemente agevole sia pur in presenza di numerosi stillicidi e di lunghi tratti allagati.        

L’ipotesi di lavoro sulla base della quale stiamo attualmente sviluppando le future esplorazioni di questo interessantissimo ipogeo è che rappresenti la parte più a monte dell’Acquedotto Fontana. Manca tutt’ora un raccordo tra la zona da noi esplorata e i tratti noti dei Pratoni del Vivaro, ma rimangono ancora molti passaggi sotterranei da percorrere nei quali, nel corso di alcuni sopralluoghi speditivi, sono stati notati cunicoli posti a livelli superiori.”

Nonostante l’intenzione di proseguire l’esplorazione del Fontana, dal 2003 al 2014 la nostra Associazione, impegnata in altre campagne complesse, è stata costretta a rimandare questo studio che avrebbe richiesto – per la sua complessità – attenzione pressoché esclusiva. Con il risultato che l’indagine è rimasta ferma per dodici anni. Nel Novembre 2014, dopo oltre trenta anni dalla ricognizione dei colleghi de la Cooperativa La Montagna, abbiamo ripreso lo studio dell’Acquedotto Fontana soprattutto grazie alla spinta propulsiva e alle puntuali indicazioni di Ruggero Bottiglia, socio del nostro gruppo e profondo conoscitore della zona di Velletri che, dopo una attenta indagine bibliografica, ha censito molti punti di accesso all’Acquedotto mai presi in considerazione prima d’ora.

Le preliminari nuove indagini speleologiche hanno evidenziato che i tratti oggi presi in esame presentano, coerentemente a quelli già rilevati nel 2002, una forte pendenza, rivestimento impermeabilizzante, tratti con volta a cappuccina. Alcune captazioni sono con evidenza state annesse alla struttura in una fase successiva rispetto all’epoca di realizzazione dell’acquedotto, in linea con quanto ben ipotizzato dai colleghi de La Cooperativa La Montagna.

Lo studio del Centro Ricerche Sotterranee Egeria, che si protrarrà ragionevolmente fino a tutto il 2015, ha come obiettivo il completo riesame speleologico dell’Acquedotto Fontana per fornire una nuova lettura dell’antica opera attraverso la comparazione fra tutte le fonti bibliografiche disponibili, le  evidenze sul territorio e l’accurata analisi del lunghissimo ipogeo.

Fra le immagini del 2002 (lo sottolineo con malcelato orgoglio) Adelaide Michelini, all’epoca giovanissima speleologa, oggi chef di fama internazionale e Antonio De Paolis, collega e amico di sempre attualmente proiettato verso un importante percorso artistico.

Note bibliografiche

Coop La Montagna, 1983, Relazione sullo stato generale dell’Acquedotto “Fontana” in Velletri.

Dobosz T., Filippi G., Galeazzi C., Galeazzi S., Germani C., 2003, Gli ipogei aricini, nemorensi e del lago di Albano, Opera Ipogea N. 2-3/2003.

Carla Galeazzi©EGERIA Centro Ricerche Sotterranee

 
 

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